domenica 20 novembre 2011

Allo specchio...

7 cose che ho imparato da lunedì a oggi:

1) Se te ne devi andare dagli uffici ai piani alti la sera tardi col passo del granchio, forse non hai ancora fatto un lavoro abbastanza buono da far passare il tuo didietro in secondo piano.

2) Quando arrivi a confidarti con serenità e soddisfazione con il tuo stalker, vuol dire lui ti ha studiata un gran bene nel corso degli anni, e che tu hai perso il controllo a un certo punto, ma almeno sei certa di non avere più uno stalker.

3) Una commessa giovane graziosa e simpatica è perfetta per farti comprare volentieri della biancheria intima, ma forse ti farà pagare anche la sua inesperienza strisciando tre volte il bancomat.

4) La generazione che ha fatto la Repubblica la sta ancora tenendo sulle spalle.

5) Un amico è quello che è disposto a prenderti a schiaffi solo per il tuo bene.

6) Non sei ancora vecchia se quelle che hanno figli non hanno ancora smesso di guardarti con superiorità.

7) Se c'è la salute, c'è tutto.

martedì 8 novembre 2011

Uomini veri che oggi aiutano l'Italia, ricomprandosela

Il mio capo e il capo del mio capo oggi si sono chiusi nell'ufficio di ciliegio (c'ero anche io, un po' ostaggio silenzioso) e si sono messi a comprarsi il debito pubblico.
Erano decisi, coraggiosi e generosi. Hanno fatto anche un giro di telefonate per invitare tanti altri che stanno in pari grattacieli a fare lo stesso.
Li ho guardati con tanta speranza e tanta tanta stima.

martedì 1 novembre 2011

Non ci salverà certo questo qui

Non è diverso da Berlusconi, nella pratica dell'imbonimento pubblicitario.
Non ci faremo prendere in giro dalla crociata che vuol bruciare tutta l'erba in un fascio, e che incurante di dove sta andando il paese, sta solo esercitando metodi di comunicazione e convocazione di massa?

L'impasto di poche idee vecchiotte che sembrano riscritte da un venditore, gli slogan Jovanotteschi (la canzone la utilizza il Milan già da mesi, è vecchia pure quella), le striscianti offese di un quarantenne che ha tutta l'aria di non essere mai stato giovane verso chi è un poco più anziano, sarebbero la cura?
Per uscire dalla pornocrazia, forse, per via di quell'aria da capetto dell'oratorio, ma non per migliorare l'Italia attraverso la sua classe politica.

Già che ci siamo, facciamo uno sforzo di ascolto e comprensione in più rispetto allo stretto necessario che ci richiedono i Renzi, ma anche i Grillo, a volte i Di Pietro. Non ci dovremmo dimenticare che i politici dovrebbero rappresentare noi uno per uno e tutti insieme, non sé stessi.

I politici veri parlano un linguaggio più complesso, vero, ma non vale la pena di applicarsi un po' e acquisire un po' di capacità critica per vivere il metodo democratico?

martedì 4 ottobre 2011

Prima di partire, voltati e rendi grazie

Perchè non credo che nell'America cui stai tornando di fretta sarebbe andata così.
Siamo pasticcioni, ma garantisti.
Se tu e il tuo ex fidanzato potete tornare ai vostri affetti e alle vostre occupazioni, mentre la vostra compagna di goliardia ha abbandonato il mondo terreno da un bel po', spaventata e forse tradita, è perchè noi, in Italia, oltre alla bellezza e alle arti che ti sedussero, abbiamo un giudizio penale che fa prevalere cavillosissime e precise norme, costruite in secoli di storia e filosofia del diritto, sulla emotività e i convincimenti intimi di giudici e giurie.
Più della sensazione e del ragionamento qui pesa il dubbio.
Più della dialettica qui vale l'astuzia di forzare i pertugi di norme e sentenze.
Più della precisione scientifica qui può la determinazione nel cercare l'imperizia e l'errore.
Siamo così, un paese ancora imperfetto in un mondo ancora imperfetto. Il mondo dove (tu lo sia bene) ci sono ancora il Ken e la Barbie, le disparità sociali, economiche, e i pregiudizi razziali.
Se tutti vorranno ascoltare quel che hai da dire, non è perchè sei la vittima di un errore giudiziario, ma perchè sei molto bella e congiuntamente nella tua storia risuona la parola "sex".
Tutto questo tienilo a mente, e fai tacere chi parla male di noi, perchè nonostante tutti i nostri macroproblemi e innumerevoli falle, accà nisciuno è fesso.

lunedì 12 settembre 2011

Insopportabile il mal d’Africa. Ma cos’è.

È il dolore insuperabile che si ha constatando la distanza da quel che siamo veramente. Cioè animali, natura.

È toccare la ingiustizia profonda, il male che sappiamo di fare ai nostri simili animali piante e esseri umani.

È anche il rimpianto della felicità.

È una gioia colorata di tamburi e un eco di colonialismo che fa passare la voglia di ridere.

È una malattia che è una volta e per sempre, come tutte le consapevolezze, e come la malaria.

La nostalgia di un luogo dove è difficile restare, mangiare, dormire. Di piante giganti, di animali ingombranti, abitudini crude, morbi, odore di pelle e di ogni secrezione umana, denti veri, ferite vere, calli, cielo colorato, erba miracolosa, piogge esagerate, sole che distrugge,spiriti e spiritualità, terra rossa che vive sotto i piedi.

È anche una domanda: è lì che dovrei essere, perché è giusto è quello il mio posto, è il paradiso? O è lì che vorrei essere, per cercare di espiare le colpe della nostra piccola parte di umanità grassa, è il purgatorio?


giovedì 23 giugno 2011

Rosa come il grembiulino dell’asilo

La città in cui sono nata e cresciuta ha dedicato l’ultimo fine settimana alle donne.

Urca. Ci vado.

Canti, esercizi ginnici, scuole di danza, corsi di ginnastica e offerte di benessere.
Ma anche bancarelle che invitano a spendere soldi in articoli confezionati con le manine sante da hobbyste che si sono divertite con pasta di sale, legno, carta, plastica, gomma, lana, cotone e ogni materiale trattabile.

Una visione della donna che sta tra il ventennio fascista e gli anni '50, temperata dall’educazione delle suore.

Esercizio fisico e attività manuali. E tanti giochi coi bambini e gli altri genitori.

Se con quello che impariamo all'asilo abbiamo sviluppato i talenti e possiamo passare alla prole, perché spendere tante energie nel frattempo?

Ah… ho goduto comunque della manifestazione perché sono cedevole al basso istinto dello shopping.

mercoledì 22 giugno 2011

La poesia della maturità

Forse gli esaminandi non avranno gradito, li capisco, erano trivellati dalle preoccupazioni, e del resto questa poesia parla a una età tanto lontana dai loro guizzi.

Ma oggi il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca ha dispensato bellezza.

Alleluja.

Grazie.

Eccola. Silenzio.







"A casa mia, in Egitto, dopo cena, recitato il rosario, mia madre
ci parlava di questi posti.
La mia infanzia ne fu tutta meravigliata.
La città ha un traffico timorato e fanatico.
In queste mura non ci si sta che di passaggio.
Qui la meta è partire.
Mi sono seduto al fresco sulla porta dell’osteria con della gente


che mi parla di California come d’un suo podere.
Mi scopro con terrore nei connotati di queste persone.
Ora lo sento scorrere caldo nelle mie vene, il sangue dei miei morti.
Ho preso anch’io una zappa.
Nelle cosce fumanti della terra mi scopro a ridere.
Addio desideri, nostalgie.
So di passato e d’avvenire quanto un uomo può saperne.
Conosco ormai il mio destino, e la mia origine.
Non mi rimane che rassegnarmi a morire.
Alleverò dunque tranquillamente una prole.
Quando un appetito maligno mi spingeva negli amori mortali, lodavo
la vita.
Ora che considero, anch’io, l’amore come una garanzia della specie,
ho in vista la morte."

mercoledì 25 maggio 2011

Una per tutte

Ieri ho cenato con una Iside del Terzo Millennio, ha i capelli un po' rossi come Lilith ottocentesca.

L’ho conosciuta quando era una Ragazza, ma non immaginavo che sarebbe esplosa in una femminilità così perfetta. Allora aveva il carattere di un vino mosso, poteva piacere oppure no, ma non se ne preoccupava molto.
Oggi non può non piacere a qualcuno, a meno che questo qualcuno non abbia paura di lei.

Ha avuto le sue figlie in modo semplice e secondo natura, come dovrebbe essere e non è più quasi mai. Ci ha pensato sopra molto bene. E non ha smesso di viaggiare da sola, di bere un po’ di vino e di caffé.
Adesso ne avrà un’altra, e anche questa, come poche creature ormai, è un fine e un inizio, e non un mezzo, perché lei ha già tutto, e quello che non ha in sé stessa se lo meriterà poco a poco, come ha fatto finora.
Ama con consapevolezza, onestà e misura il suo uomo, i figli che ha partorito e quelli che ha conquistato.

Lavora tantissimo, per una causa, e lo fa gratis (purtroppo). Del resto però tutto quello che le donne fanno di meglio al mondo lo fanno gratis.

Mentre parla pensi che la forza sia una cosa molto dolce.

Tutto questo fa di lei, fa delle donne come lei, una rivoluzione che cammina lievemente. Speriamo che sia contagiosa. O che cresca innumerevoli Donne capaci di cambiare il mondo.

lunedì 16 maggio 2011

Annientate la principessa. Prima che lei annienti voi.

Siamo in pieno medioevo, e forse qualcuno vorrebbe che sognamo di restarci. I vecchi ricchi e potenti saltano addosso alle servette, i cattivi sono i saraceni, e le principesse (milionarie privilegiate che vogliono farci passar per Cenerentole) sposano il principe biondo.

Se arrivo in ritardo sulla farsa del matrimonio tra i due viziati più regali del mondo, è solo perché speravo che qualcuno ci rivelasse che stavano solo girando uno stucchevole spot pubblicitario.
Invece no. Ad oggi ci stiamo sentendo dire come possiamo fare a dimagrire e a diventare carine come la sposa dell’inutilissimo William.
La figura di Kate Middleton è vacua e ingessata. La principessa di oggi ci viene somministrata insistentemente come un modello: se saremo abbastanza zitte, magre, ben vestite, e carine, forse anche a noi sarà dato di vivere la favola con un principe. Be’, per esempio, di questo William conosciamo ben poche qualità, ma sappiamo che la di lui madre iniziò una favola e dal giorno dopo si ritrovò in un tunnel orripilante, fino alla notte in cui, già liberatasi degli impagliati parenti acquisiti, proprio nel buio di un tunnel finì per morte violenta.

Il culto della principessa uniforma sotto menzogne e melassa ogni tentativo di valorizzazione e di varietà delle aspirazioni femminili. Si inizia con il vestire la Barbie, con l’indossare il costume a Carnevale, e si finisce col bramare gioielli e abiti fantasmatici, con la corsa al principe azzurro, e col mito del “e vissero felici e contenti” ad ogni costo. Le bambine, le ragazze, la società, si meritano qualcosa di più.

Ok, i sogni. Ma credo che sogni come questi facciano andare a letto con una certa ansia, e spesso comportino un brutto risveglio.

martedì 3 maggio 2011

Siete sicuri?

Felice ancora una volta della propria legge del taglione, l’America esulta.
Non so chi, forse Dio, ha detto che non va bene gioire per la morte di uomo. E che chi gioisce per la morte di assassino non è migliore di lui.
Perché esultare?
Perché una vendetta è compiuta? Incivile.
Perché ora la sicurezza è garantita? Ma quale sicurezza? Quella che sia morto davvero, stavolta? Quella che la guerra sia finita? O quella che non ci saranno più attentati terroristici?

Io sono sicura solo del fatto che così stiamo andando di male in peggio.

mercoledì 27 aprile 2011

Il diavolo ha fatto le pentole, qualcuno solleva i coperchi


Se ne parla troppo, tuttavia non se ne parla per niente:
http://www.newsweek.com/2011/04/17/fast-track-saint.html

E questo è il fiore


Le parole "libertà" e "democrazia" sono così abusate che mi fanno venire un po' di nausea. Purtroppo.

E poi, in verità, il 25 aprile penso prima di tutto a mio nonno.

Avevo questo nonno che è stato un giovanotto impegnatissimo, che lottava fino alla incoscienza per cambiare il mondo.
Ed è andato avanti ad essere impegnatissimo e a lottare per quello in cui credeva fino a che gli è calata una patina ingrata sulla mente sempre fervidamente attiva.
Mio nonno per me è un eroe, come tanti altri nonni partigiani, come quelli che per la stessa causa sono caduti di morte violenta, soli, senza nemmeno vedere il loro sogno concretizzato.

Di fatto, la mia generazione è l'ultima ad aver avuto nonni eroi della lotta per la Liberazione. Ragion per cui dobbiamo impegnarci a passare il testimone.

Come? Boh. Ci possiamo sbizzarrire. Io ho un amico bravo e bello che si chiama Dario Leone e che lo fa a Teatro.

domenica 24 aprile 2011

Un paese lontanissimo

“Ai tifosi dovrebbe interessare che sono un giocatore tecnico e non velocissimo, se mi schierano in difesa o esterno di centrocampo, e non con chi vado a letto”. Anton Hysen

“Ho avuto tra 600 e 700 donne”. Antonio Cassano

Diversità.

“Non ho niente da nascondere, ho fatto coming out per poter vivere me stesso alla luce del sole. Certo vivo in Svezia, un Paese ateo e liberale, una scelta del genere in una nazione cattolica come l’Italia sarebbe stata più difficile”. Parola di Anton Hysen, giovane e bellissimo calciatore svedese dello Utsiktens BK, il di lui padre è un ex giocatore della Fiorentina, un allenatore e un commentatore sportivo.
Certamente il ragazzo sa di cosa parla. E infatti ha ragione.

Solidarietà a tutti quei calciatori italiani che non possono provare lo stesso senso di grande liberazione e verità nel contatto con sé stessi, con i propri amici e la propria famiglia.

Il nostro paese machista è disposto a tollerare uno stilista, un visagista, un artista, un designer gay o bisex, ma non a perdonare un calciatore che non approfitti della propria visibilità ed esibita mascolinità per andare con tutti quei tipi di donne che al tifoso medio non sono accessibili.



“Noi di Ikea la pensiamo proprio come voi: la famiglia è la cosa più importante […] quello che cerchiamo di fare è rendere più comoda la vita di ogni persona, di ogni famiglia e di ogni coppia, qualunque essa sia». Referente IKEA

“Lo spot IKEA è offensivo, di cattivo gusto. L’IKEA è libera di rivolgersi a chi vuole e di rivolgere i propri messaggi a chi ritiene opportuno. Ma quel termine, famiglie, è in aperto contrasto con la nostra legge fondamentale, che dice che la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio”. Carlo Giovanardi

Che vergogna. Vado subito a scusarmi con il portatutto Komplement, per sineddoche.

Non credo che Giovanardi abbia a cuore la lettura letterale della Costituzione. Credo piuttosto che sia così fantasioso da immaginare quei due ragazzi puliti, liberi e sereni impegnati in peccaminose sodomie.

Anche perché fa parte di un governo che ha molto più a che vedere con le peccaminoserie che con la Costituzione.

mercoledì 20 aprile 2011

Ma i sardi sono meglio di quello che leggono

Sembra che certa stampa sia andata a lezione da Goebbels.

Un esempio di campagna mediatica che istiga alla peggiore xenofobia facendo leva sulla povertà e l’invidia? Quella di oggi dell’Unione Sarda.

Le locandine fuori dalle edicole titolano: “Ogni migrante costa 34 euro”.
Sì, in una realtà e in un momento in cui molti si scannerebbero per 34 euro la settimana.

Mi sono fermata in due edicole in mattinata: ho trovato un gestore che non l’ha esposta, un altro che mi ha detto che non l'avrebbe voluta esporre.

I due loro punti di vista, che coincidono in pieno col mio, suonavano più o meno così:

Le migrazioni sono fenomeni ciclici e normali, inarrestabili. Ci sono sempre state e sempre ci saranno, servono a non farci marcire il sangue, a darci stimoli nuovi e a progredire.
Se non riusciamo a regolare il processo, ci troviamo ogni volta nel panico con una massa di disperati tra i quali qualcuno diventa delinquente e qualcuno lo è già e si confonde nella massa.
Dobbiamo trovare il modo di governarle, una volta per tutte. Lavoriamoci seriamente, ne vale la pena più di ogni altra cosa.

lunedì 18 aprile 2011

C’è chi si burlesqua di noi

Non sappiamo più cosa inventarci con la concorrenza che c’è là fuori.

Non crederete che si facciano i corsi di burlesque per sé stesse. Che ci si doti di tutto quell’armamentario per stare in casa da sole.

Siamo ricadute nella trappola, care mie. Non basta più essere brave sul lavoro, in casa, ai fornelli, a letto, adesso dobbiamo anche imparare a fare lo show tutto intorno. Prima i corso di pole dancing (perché proprio non ci veniva in mente nient’altro per tenerci in forma) e adesso il burlesque, che reso celebre da artiste di tutto riguardo, si è propagato come una tamarrata qualunque spopolando fra le donne di città nell’età della consapevolezza.

Sono questi uomini d’oggi cresciuti con le ragazze cin cin e martellati da ogni genere di messaggio sessuale a volerci così?

Siamo noi che ci siamo convinte che per essere donne complete dobbiamo interpretare anche la spogliarellista agghindata come ai tempi della bisnonna?

Lo facciamo perché ci piace prenderci in giro o perché ci stiamo facendo prendere in giro?

(Comunque, se avete un uomo che vi dedica tre minuti della sua attenzione per guardarvi togliere un guanto, cliccate qui.)

domenica 17 aprile 2011

Crescere, fra le righe

Ai primi tempi dei palazzi ero già ufficialmente goffa. Mi ritenevo fisicamente inaccettabile, ma non ero eccessivamente preoccupata della mia scarsa attitudine motoria, bastava evitare talune attività in cui peraltro altri stavano già dimostrando il meglio.

Del resto la felicità era soltanto pochi metri sopra il divano, sulle mensole dei libri dei miei genitori, dove afferavo cose di signori che si chiamavano Pavese, Cassola, Levi, Fallaci, Marquez, mentre mia mamma mi stava attentamente introducendo a Gianni Rodari e Rohal Dahl.

Anche i libri che mi venivano somministrati da mia mamma mi piacevano moltissimo, e soprattutto mi emozionavo all’odore della Biblioteca dei Ragazzi e al bel sorriso della signora che vi lavorava, quando il sabato la mia eroica genitrice ci portava me e mio fratello (attirato con la prospettiva di una pizzetta nel corso).

Ma quelli dei miei genitori, oltre alll'attrattiva delle cose da grandi, avevano frasi che spesso non capivo con parole che però suonavano benissimo, e dei personaggi affascinanti che spesso morivano per le cose in cui credevano.

Che le parole potessero dare tante possibilità e tante soddisfazioni, me lo confermò alle medie una professoressa severa e dolce, che aveva dei bellissimi occhi blu e l’aspetto che io avrei voluto avere alla sua età. Alle frustrazioni che mi davano le trasformazioni adolescenziali e gli scontri con la matematica, la suddetta contrapponeva le letture, i temi, e l’analisi grammaticale e del periodo, che mi davano insperate gratificazioni (anche se non avrei mai voluto che si sapesse).

Sempre la stessa insegnante si rivelò una insostituibile alleata, allorquando mia madre, impegnandosi in una blanda censura sulle mie letture, venne dalla stessa tranquillizzata e autorizzata a maggiore permissività.

Beati sono i tempi in cui ognuno è libero di trovare la propria strada per la felicità, gli insegnanti fanno scoprire soddisfazioni inattese, ei genitori si fidano degli insegnanti.

Cagliari e Milena


Quando ho letto i quattro libri di Milena Agus in un colpo solo (sono brevi e piacevoli) vivevo a Cagliari già da un anno, eppure la città che già avevo nell’anima era la stessa che stavo conoscendo attraverso di lei. Mi sono chiesta se mi ci sono ritrovata o se ho subito un condizionamento, sei lei è bravissima (lo è, a prescindere, secondo me) o se io sono una spugna informe.

Quello che è certo è che la città raccontata in “Mal di pietre”, “La contessa di ricotta” e “Mentre dorme il pescecane” non è sempre quella che ho toccato con mano, ma quella che ho sentito e annusato e respirato, quella che vive nei quartieri storici, fatta di persone creativamente moderne, di sopravvissuti alla decadenza, quella che insomma, Milena ha voluto raccontare, e io ho voluto tenermi nell’anima.

Quella che affascina in un modo unico, e che credo sia la splendida ambigua regina del Mediterraneo.

Un’altra cosa è la Cagliari ferma, isolata, e abbarbicata su convinzioni obsolete e sulle massonerie.

Amarcord

La primavera porta il ricordo dei tempi dei palazzi. Sono molto lontana dai palazzi, nel tempo e nello spazio, e ora gli sfarfallii e le insicurezze e i pianti di primavera sono molto più blandi, ma esistono, anche in eredità di quei momenti.

La primavera arrivava un po’ prima o un po’ dopo il cambio dell’ora, e si faceva sentire subito con l’odore di erba e la voglia di prendere la bicicletta. Con la luce di maggio, nel petto e nello stomaco avevo sempre un tamburo. Così anche le mie amiche, quelle di scuola. Certe volte con l’Uni Posca rosa scrivevamo sui lampioni anche due o tre nomi diversi nella stessa settimana.

Ma non era facile la vita ai palazzi, specialmente a primavera, c’erano sempre dei problemi: fiottavo lacrime per mille motivi, e mi sentivo brutta e un po’ fuori posto.

I genitori, ai tempi dei palazzi, erano lontani e un po’ isterici, niente a che vedere con i due bei sessant’enni sereni e giocosi che sono oggi.

I maschi prendevano sempre in giro ed erano cattivissimi, sia che si presentassero sotto forma di fratello, che di compagno di classe, corteggiatore o ragazzo dei desideri.

Per destino crudele, le ragazzine dei palazzi erano le più belle e ammirate del quartiere, forse della città. Io non c’entravo proprio niente: non ero mai io la più bella, la più alta, la più corteggiata, la meglio vestita, la più citofonata, la più brava a danza, la più brava a pattinare, a disegnare, la più atletica, la più libera di uscire la sera, la migliore al mondone o al gioco dell’elastico.
Non ci provavo nemmeno a competere con quei boccioli di fascino così performanti. Tutte avevano almeno 4 assi che io non avevo.

Quello in cui eccellevo era invece leggere molto velocemente, mangiare i biscotti del Mulino Bianco, inventarmi storie (non favole, balle) e imbambolarmi davanti alla finestra della mia stanza.

Dalla quale finestra vedevo ragazzi un pochino più grandi che si baciavano, anche sdraiandosi sull’erba, infuriando le signore anziane dei palazzi.

Ma più che altro sostavano a lungo in gruppetti, andavano e venivano, fumavano, e si facevano delle iniezioni.
Io non lo sapevo, e secondo me nemmeno loro, che si stavano uccidendo.

sabato 16 aprile 2011

Se sei così alza la mano


Un altro sforzo cinematografico sulla scalata dell’uomo medio un po’ sfigato alle gioie della solita superbona straniera. Italiano, sogna che ti passa.

Inizio e fine, e viceversa

La fine è quella del processo Thyssen: una sentenza da festeggiare come un inizio di una giurisdizione che punisce come killer (eventuali) i responsabili delle aziende che danno la morte.

La fine è anche quella di un ragazzo che inizia a lavorare a 23 anni mentre studia Farmacia, e che parte da una povera isola del sud verso una raffineria di un’altra ancor più povera isola del sud con un contratto di poche settimane, e finisce gasato da un impianto che qualcuno è stato così negligente o pigro da non bonificare.

Vai a prendere il colpevole.

Nei bar dove lavorano e prendono il caffè le mogli degli operai della raffineria si parla di “scarsa attenzione”. Si parla di “permesso di lavoro”. Si parla di “consapevolezza del rischio”. Discorsi di persone che non hanno quasi mai una scelta.

Chissà quali criteri avranno fatto vincere la gara d’appalto all’impresa che poi ha assoldato il ragazzo per il tempo stretto necessario a svolgere l’ingrato compito, chissà se e come le certificazioni in possesso della stessa impresa erano in regola, chissà se i costosi dispositivi di rilevazione erano perfettamente funzionanti, chissà quale formazione sulla sicurezza avrà ricevuto il lavoratore per un mese, chissà chi gli ha dato il via a fidarsi di quell’impianto che gli ha sputato addosso veleno mortale, chissà se si è chiesto se era meglio obbedire o perdere il lavoro e tornare a casa. Chissà che altra scelta aveva, a casa, in Sicilia.

So che sarebbe un buon inizio se almeno i sindacati dipanassero direttamente questo tipo di questioni, oltre a creare sloganistica.