mercoledì 19 dicembre 2012

Il Bar New York

Spesso la  mattina, quando la Stazione Centrale mi sputa fuori, faccio tre balzi sopra le rotaie del tram, una piccola serpentina tra i bus, trattengo il respiro 6 secondi per la puzza di piscio sempre nel solito punto, e poi evviva, mi infilo nel Bar New York.
Il Bar New York è un'oasi di anni 80, sogni di vacanze spensierate, e exmilanodaberepergentechelavora. La sala è ampia, il bancone interminabile, e c'è anche un vasto dehor sul marciapiede tra palazzi grigi e tram. Ha un'estetica smaccatamente metropolitana, post paninara e rampante.
Lì si può godere ancora un accento alla Cochi e Renato, una vera chicca ormai in città, e quella inflessione esageratamente meneghina che credo sia fastidiosa ai più nel resto d'Italia.

Il proprietario è un omone dall'aria furba che esprime una personalità ingombrante, con una bella panza che parte dallo sterno, i capelli grigio perla un po' lunghi sulle orecchie sul collo, la camicia sopra i pantaloni, gli occhiali con la montatura quadra e spessa, e in estate sbuffa come un mantice.
Egli sornionamente e senza cattiveria maltollera gli extracomunitari e i fuori di testa che si mischiano agli ordinati frequentatori del bar.
Poichè, pare, si sollazza frequentemente in sudamerica, la colonna sonora della colazione è sovente un ritmo latino che altrove mi sarebbe insopportabile, alternato a musica dance anni novanta.
Il barista è un quarantenne moro, sempre gentile e sorridente nonostante prenda il treno alle 6 ogni mattina per fare i cappuccini. Conosce vizi e virtù di tutti i caffè della concorrenza di zona, e mi presenta uno per uno ciascuno dei tipi di briosche che stanno sugli otto vassoi. Ci sono addirittura quelle con la crema di pistacchio, e le alzatine coi muffin, ormai imprescindibili in Lombardia, figuriamoci al New York.

Un giorno ci voglio portare SuperCozzi, il Supereroe coi riccioli magici.
Milano sei tremenda ma ti amo.

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